(Contributo di Pierluigi Carta)
IL PARCO NATURALE
Attraverseremo il Comprensorio forestale del "Parco naturale di Monte Linas, Marganai-Oridda, Montimannu", formato dalla sommatoria di più foreste, è per dimensioni la seconda area forestale italiana con un’estensione complessiva di 9.194 ettari. E’ stata decretata Zona di Interesse Paesaggistico ai sensi del D. Lgs 490/1999.
La foresta di Marganai (Superficie 3650 ettari), occupa una zona storicamente utilizzata per l’attività estrattiva ma anche per la produzione di legname e carbone necessari alle miniere. La vetta più alta del comprensorio Marganai Linas Oridda è punta Perda de sa Mesa che, con i suoi 1236 metri, è anche la più alta della Sardegna meridionale. Con l’abbandono dell’attività estrattiva da parte delle società private, le concessioni sarde e i terreni di competenza vennero assorbite da società pubbliche a partecipazione regionale e statale che ripartirono il patrimonio immobiliare tra gli enti strumentali dedicati all’estrazione mineraria. Tutto ciò che esulava da tale attività venne ripartito tra gli enti locali e altri enti pubblici con finalità socialmente utili. Così il compendio del Marganai venne acquisito nel 1979 dall’Ente Regionale Foreste Demaniali della Sardegna (poi divenuto Agenzia Forestas) e dieci anni dopo venne istituita la foresta demaniale con legge regionale 31/89, andando a costituire l'area del "Parco naturale di Monte Linas, Marganai-Oridda, Montimannu". La zona nord del Marganai (superficie 450 ettari), è compresa nel Sito di Importanza Comunitaria (SIC) del Monte Linas ai sensi del D.P.R. n. 357 del 08/09/1997 attuativo della direttiva 92/43/CEE "Habitat" sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, della flora e della fauna selvatiche, ai fini della salvaguardia della biodiversità. Marganai è infatti un laboratorio di studio e monitoraggio degli ecosistemi forestali mediterranei, ed in tal senso nel 1995 è stata realizzata un’area permanente inserita nella rete nazionale CONECOFOR, un programma coordinato dal Corpo Forestale dello Stato che conta 31 aree nel territorio italiano. Meritevole di attenzione è il giardino montano di Linasia, realizzato a scopo scientifico-didattico, dove è stato ricostituito il patrimonio floristico della Sardegna associato alle specifiche formazioni rocciose.
FORESTA DEMANIALE DI MONTIMANNU
La foresta demaniale di Montimannu (Superficie 4600 ettari) venne costituita nel corso di un secolo. Il primo lotto di 1536 ettari venne espropriato nel 1914. Si trattava di terreni nell’alto bacino imbrifero del rio Leni, per i quali il governo aveva richiesto l’esecuzione di lavori di sistemazione idraulico-forestale che né il Comune di Villacidro, né i privati interessati, avevano eseguito.
Successivamente, negli anni ‘60, si aggiunsero altri 1600 ettari fra Tuviois, Matzanni (isola amministrativa di Iglesias) e Pranu olioni (Domusnovas). Poi si aggiunse Magusu e altri altri ancora nei confinanti comuni di Vallermosa e Iglesias fino a raggiungere gli attuali 4600 ettari che si collegano, senza soluzione di continuità, ai compendi forestali di Linas, Perd’e Pibera e Marganai.
Anche Montimannu ha testimonianze importanti dell’attività mineraria: tra tutte citiamo la laveria di Canale Serci e la Cantina Ferraris ora utilizzati dall’Agenzia regionale Forestas per le proprie attività forestali e vivaistiche.
La laveria di Canale Serci fu costruita negli anni 30 del ‘900 e rimase attiva fino al termine del secondo conflitto mondiale. Per trattare il minerale utilizzava le acque del rio Leni. Dalla omonima miniera si estraeva la rarissima cassiterite (biossido di stagno, l'unico minerale da cui si estrae lo stagno), ma nella laveria si trattavano anche i minerali di piombo, zinco, pirite, provenienti dalle vicine gallerie di altre miniere. Ma l’attività mineraria ha origini ben più remote: alcune gallerie rinvenute alla fine dell’800 dimostrano come l’attività estrattiva a Montimannu sia stata avviata dai nuragici che utilizzarono la cassiterite per produrre il famoso bronzo sardo di cui esistono migliaia di reperti sparsi in tutto il mediterraneo. Poco lontano, nel sito archeologico di Matzanni, sono presenti i resti di tre pozzi sacri, di un nuraghe e di un villaggio con dodici capanne.
La Cantina Ferraris era invece uno dei caratteristici spacci aziendali attraversi i quali i proprietari dei terreni e delle attività produttive vendevano generi alimentari ai minatori, ai carbonai e ai pastori. Molto spesso, in questo modo i padroni si riappropriavano di parte dei salari dei propri dipendenti attraverso la pratica del «truck system» (forma di sfruttamento del proletariato della quale, al tempo della rivoluzione industriale, si resero tristemente celebri i manifatturieri inglesi, consistente nel malvezzo di pagare, almeno in parte, il salario mediante la corresponsione di merci - soprattutto generi alimentari - allo scopo di ricavarne un illecito lucro).
FORESTA DEMANIALE DI GUTTURU PALA–PUBUSINU
La Foresta Demaniale di Gutturu Pala–Pubusinu (Superficie: 944 ettari)comprende le zone di Terras Nieddas, Gutturu Pala, Pubusinu, P.ta Pillocca, Pinn’e Perda.
La vetta più alta è Monte Serrau (727 m s.l.m.). Confina ad Est con la Foresta Demaniale Marganai. Anche in questa zona sono presenti numerosi resti minerari testimonianza di una economia che ha rappresentato per lungo tempo la principale risorsa economica per la popolazione locale. Gli stessi immobili che oggi ospitano l’agriturismo videro, nel 1872, la nascita della miniera denominata Gutturu Pala o Pubusinu. Alla ricchezza del minerale si aggiunge l’imponente sorgente di Pubusinu che, con i sui 220 litri al secondo, alimentava le laverie delle miniere del circondario fino a raggiungere, per pompaggio, quella di Arenas. Quando nella seconda metà del ‘900 le miniere vennero chiuse, gli impianti di pompaggio vennero abbandonati e con essi anche le linee elettriche e le infrastrutture viarie, determinando l’inevitabile spopolamento dei villaggi minerari che in breve tempo si trasformarono in vere e proprie “ghost town”.
(Contributo di Franco Cherchi)
Le diverse formazioni geologiche nell'area
Il territorio da attraversare è una delle più antiche terre emerse d’Europa. Considerando che le prime tracce umane in Sardegna risalgono al Paleolitico Inferiore (50.000/100.000 a.C.), si comprende come la varietà del suo aspetto racconti le vicende delle ere geologiche che si sono succedute e delle attività antropiche che ne hanno caratterizzato l’economia.
La Sardegna e in particolare l’Iglesiente, rappresentano, per caratteristiche ambientali, un fenomeno peculiare dal punto di vista geologico, paleontologico mineralogico e archeologico. Le foreste, le zone umide, le grotte naturali, le montagne, le scogliere e le spiagge, raccolgono un patrimonio di paesaggi e biodiversità che fanno della Sardegna un piccolo prezioso continente.
Dal punto di vista geologico i terreni affioranti nell’area sono ascrivibili in gran parte a formazioni Paleozoiche del Cambriano e Ordoviciano. Si tratta di termini a basso grado di metamorfismo, conseguente per lo più ad attività di tipo dinamico. La formazione più antica nota come “Formazione di Nebida”, è riferita al cambrico inferiore ed è costituita nella parte bassa da alternanze di termini arenaceo-siltoso-argillosi, con intercalazioni di livelli calcareo-dolomitici verso l’alto. Tale formazione avendo una permeabilità pressoché nulla costituisce il letto idrostrutturale dell’acquifero (il più grande serbatoio sotterraneo d’Italia), che si comporta anche da soglia di permeabilità verso altri acquiferi della zona che hanno aree di alimentazione differenziate e bilanci idrogeologici distinti.
Sopra la “Formazione di Nebida” giace una formazione calcareo-dolomitica, la “Formazione di Gonnesa”, che ospita l’acquifero dell’”Anello Metallifero Iglesiente”, come viene comunemente denominato dai minatori per la sua forma e perché in esso sono insediati importanti giacimenti piombo-zinciferi. Infine la serie è chiusa verso l’alto dalla “Formazione di Cabitza” che, essendo costituita da argilloscisti, è completamente impermeabile. In definitiva, quindi la formazione calcareo-dolomitica del “Metallifero” è confinata fra formazioni impermeabili a letto e costituisce nella zona un importante acquifero per gli usi civici.
In questo trail avremo modo di osservare come l’orografia superficiale abbia plasmato il paesaggio determinando strette valli incassate che quando affiorano nella formazione carbonatica del Paleozoico (Calcari e dolomie del Cambrico inferiore e medio), comunicano con il sottosuolo scavando un reticolo di piccole e grandi grotte che disseminano il territorio. Attraverseremo il massiccio del Marganai caratterizzato appunto da calcari, dolomie e calcari dolomitici dove la delimitazione per faglie crea un forte contrasto di rilievo con i versanti, soprattutto in coincidenza dei litotipi calcarei, che raggiungono talvolta quote elevate a breve distanza dai fondovalle.
Anche l'uomo è diventato un fattore di modellamento del rilievo soprattutto negli affioramenti dei calcari dolomitici dove hanno sede i più importanti giacimenti minerari dell’area coltivati in passato. L’attività mineraria nel territorio ha modificato profondamente il paesaggio lasciando profondi segni con discariche, scavi e impianti abbandonati. Dove è stata più intensa l’attività estrattiva il territorio si presenta come un mosaico con cavità variamente allungate con rilievi a scarpata molto ripida o a gradoni sui versanti. Queste forme del rilievo sono diventate parte integrante del paesaggio con peculiari caratteristiche morfologiche e cromatiche che rivelano i segni della storia evolutiva della cultura mineraria.
Nella zona di Oridda e nel Monte Linas osserveremo il complesso plutonico (cristallizzato in profondità ed emerso in periodo tardo-ercinico da 320 a 280 Ma), dei graniti e granodioriti. Si tratta di un complesso litoide che si distingue in maniera netta dai calcari che lo contornano. La caratteristica peculiare di questa formazione è la tipica morfologia arrotondata, caratterizzata da profonde incisioni formatesi in zone di faglia, con gole levigate e lavorate dalle acque dei torrenti e dalla tipica colorazione che va dal bianco a rosa.
Particolarmente interessante è la valle di Pubusinu con un substrato roccioso costituito esclusivamente da affioramenti scistosi compatti, generalmente ricoperti da limitati spessori di suoli poco profondi o inesistenti con asportazione e perdita continua di materiali, mentre nelle litologie più peneplanate e lungo gli alvei i suoli trovano maggior sviluppo sia per il rilievo meno acclive e le forme più dolci sia per la presenza più marcata della vegetazione.
Le rocce che formano il tratto di costa compreso tra Masua e Cala Domestica sono ascrivibili al Cambrico medio; anch’esse sono state interessate da spettacolari pieghe e deformazioni tettoniche di vario tipo. Il geotopo fra i più spettacolari in questo tratto di costa è monumento naturale di Canal Grande che prende il nome dall’omonima insenatura, aperta tra alte pareti rocciose.
In questa straordinaria insenatura sono osservabili le stratificazioni distinte delle arenarie, della dolomia rigata e degli argilloscisti, frutto dell’attività di deposito dei sedimenti operata dal mare. Tali rocce contengono particolari fossili guida marini vissuti esclusivamente nel Paleozoico: le archeociatine (nei calcari) e i trilobiti (negli argilloscisti).
Il bacino minerario dell'Iglesiente ha una storia di estrazione millenaria che ha plasmato nei secoli sia il territorio sia il profilo economico/sociale di questa zona dell'isola. Risalgono infatti al 6.000 ac., in età pre nuragica, le prime tracce del suo sfruttamento. Seguirono i Fenici ma soprattutto, dopo la caduta di Cartagine, i Romani, che fecero dell'Iglesiente uno dei luoghi primari per l'estrazione dei metalli. Sorse infatti in questa zona la mitica "Metalla" , cuore dell'attività estrattiva romana in Sardegna. Il luogo era talmente importante che venne coniata la locuzione "Damnatio ad Metalla" per indicare la condanna ai lavori forzati in miniera. Di questo centro però, sempre che di un singolo centro si trattasse, non è ancora stata scoperta la collocazione, anche se molti studiosi tendono a collocarla nei pressi del Tempio di Antas (che sfioreremo lungo la terza tappa).
L'attività proseguì anche successivamente al periodo romano, specie per impulso dei pisani ed in particolare del Conte Ugolino della Gherardesca a cui si deve anche la fondazione dell'attuale Iglesias (Villa di Chiesa).
Lo sfruttamento industriale iniziò all'incirca nella metà dell'800 e, seppur breve, portò ad una radicale trasformazione del territorio e del tessuto sociale. Tracce delle miniere, chiuse per la maggior parte fra gli anni '50 e '70 (eccezioni furono Masua, chiusa a fine anni '90 e San Giovanni, nel decennio precedente) si trovano tutt'ora sparse per tutta l'area, in alcuni casi, come ad Arenas, i fanghi rossi di Monteponi o Masua, feriscono (e avvelenano) ancora il territorio in modo assai impattante.
Durante tutte le tappe passeremo vicino a ciò che resta degli impianti e dei villaggi minerari. Nella prima tappa Reigraxius, Barraxiutta, Sa Duchessa, nella seconda tappa Arenas, Gutturu Pala, Pubusinu, nella terza giornata Scalittas e San Luigi (a Gutturu Cardaxius) e Masua.
Dal punto di vista geologico la zona è un vero parco giochi per gli addetti ai lavori. Anche per noi escursionisti la cosa è assai evidente: durante le tappe la morfologia del terreno cambia in continuazione. Attraverseremo dapprima i calcari e le dolomie di Gutturu Xeu e Sa Martinedda, seguiti dai graniti che, partendo da Oridda si sostituiscono ai calcari. Nella seconda tappa dopo una prima metà in zona granitica rientreremo nei pressi di Arenas in area in cui dominano i calcari che ritroveremo, sempre in forme diverse e particolari (ad esempio il calcare ceruleo di Pan di Zucchero, che non ossida e mantiene un colore bianco candido) fino a Masua, dove iniziano gli scisti.